»LIMONOW«


von
Emmanuel Carrère



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Biografia canaglia

Gabriele Romagnoli

Da «L’avversario» a «Limonov», lo scrittore francese ci mostra i bivi dell’esistenza. Il senso di Сarrère per la banalità del bene e del male.

A chi, mesi fa, mi consigliava di leggerla rispondevo: «Perché dovrei dedicare del tempo alla biografia di un infame fascio comunista russo?». Poi, la settimana scorsa, votando il libro dell’anno per la book-list di Repubblica mi sono trovato a indicare come primo in classifica Limonov di Emmanuel Carrère. Opinione condivisa da altri, dato che primo si è piazzato. Adesso non mi resta che spiegare perché ho continuato a «tappare» con crescente entusiasmo in basso a destra sullo schermo del kindle perseguire questo essere da Mosca a New York, da Parigi alla Serbia.

La ragione per cui alla fine ho deciso di leggere Limonov nonè che mi fido dei consigli. Mi fido degli autori. Mi strafido di Emmanuel Carrère.

Soprattutto quando non fafiction, ma racconta una vita, «vite che non sono la sua», maancor più per quello che consideravo fino a Limonov, il suo capolavoro: L’avversario. Anche lì, la storia di un piccolo grande infame: l’uomo che sterminò la famiglia per non rivelare la menzogna che erala sua esistenza, anni passati a fingersi un medico con un incarico in una organizzazione internazionale. Ha fiuto nella scelta, Carrère. Individua declinazioni decifrabili del Male.

Decifrabili attraverso la letteratura. Se è vero, come insegnava un cronista in un film di Mazza curati, che il giornalismo deve mantenere «la giusta distanza», il compito della letteratura è annullarla, penetrare la Storia, qualunque storia. L’amore richiede una versione compassionevole della verità, la politica una illusoria, la letteratura richiede la veritàe basta. Sulle cose e sulle persone.

Carrère non si preoccupa che il protagonista della sua narrazione sia un eroe, neppure che sia positivo. Non cerca di empatizzare, vuole soltanto rendere conto. Non si innamora della canaglia, appena tu letto restai per farlo ti gela ricordandoti che sarebbe un sentimento mal riposto.

Ogni volta che stai per odiarlo fa l’operazione inversa e ti rammenta che la debolezza è umana, troppo umana e tul’hai condivisa. Anchetu, se hai vissuto, sei stato prima o poi Limonov, masoprattutto avresti voluto, prima o poi, essere Limonov. Per esagerare, perdere alla grande, ritrovarti al tavolo, scegliere per dispetto e credere per rispetto. Di che cosa, infine? Non di un’idea, né degli altri odi se stessi, ma della vita in sé, in quanto esperienza. È comese Limonov avesse scritto lapropria autobiografia vivendo. Domandandosi adogni bivio: che cosa sarebbe più interessante per il prossimo capitolo? Ah, certo: che andassi in Serbia e frequentassi Arkan. A Carrère non rimaneva che seguire le tracce. In apparenza.

In realtà occorreva molto dipiù: bisognava saper arrivareal nucleo della vicenda, al cuore del protagonista.

Pagina dopo pagina la domanda che aveva inizialmente precluso la lettura è diventata: «Perché mi sto appassionando alla biografia di un rosico ne che ha fatto successo raccontando il proprio fallimento?». Il cuore di Limonov, inteso come libro, non è il diario avventuroso di un simpatico cialtrone e neppure il riflesso distorto della caduta di un impero. Questi sono due livelli di lettura superficiali. Inseguendo Limonov Carrère va a caccia di una dote che ha intuito sotto i suoi strati di malanimo e velleità: la purezza.

Nella sua versione Limonov è carne viva e ossa rotte. È un’espressione liberata dalla sovrastruttura del pudore. Piùche un re nudo, un suddito squartato, viscere e bile, le arterie come un tracciato. Ci sono molte scene in cui questi concetti esplodono. Ne ricordo due, legate entrambe allesue passioni amorose. In una Limonov, annoiato dal discorso di Solzenicyn in tv, sodomizza la propria moglie. Èmolto più che gridare: «La corazzata Potemkin è una boiata pazzesca». È sincerità in azione, connubio di cervello e lombi che sancisce la prevalenza dell’essere sul dover essere. Dissenso verso il dissidente non per conformità alpotere, ma al piacere.

Nell’altra scena Limonov torna a casa e trova la secondamoglie, ninfomane e drogata, sfatta sul letto, che lo implora di non giudicarla senza prima averla scopata. E lui lo fa. L’avrebbe fatto anche senza richiesta. È la sua forma di accettazione degli altri, di sé, della vita stessa. Come in unmatrimonio di rito cattolico: in salute e in malattia, neltrionfo e nel fiasco. Dovunquee comunque. È questo che gliconsente di oscillare tra gli opposti, trovare il buono nelmarcio, sopravvivere ad ognitrapasso storico.

Limonov non è né Hitler né Gandhi, è una figura lateralenella parata del destino, la banalità del bene e del male sovrapposte in una sola figura. Ci voleva l’occhio di Carrère per scorgerla, dandole luce everità. È una verità che ci appartiene, portata all’estremo: tutti abbiamo dentro bivi terribili che possiamo conviverecon qualunque scelta e qualsiasi conseguenza.


«Repubblica», 29.12.2012

Eduard Limonow

Original:

Gabriele Romagnoli

Biografia canaglia

// «Repubblica» (it),
29.12.2012